Gli anni sessanta si aprirono con l’improvvisa decisione della SIAE di vietare la partecipazione dei propri autori all’edizione del 1961, che però non fu seguita dalla maggioranza degli aderenti. Negli anni successivi, si registrò l’inizio della cosiddetta “era Bongiorno” (dal nome del conduttore Mike Bongiorno che presentò tutte le edizioni dal 1963 al 1967) e fecero il loro esordio sul palco gli “urlatori” come Mina (la quale, dopo la delusione per non essere nemmeno salita sul podio nel 1961, decise di non prendere mai più parte al Festival come concorrente), Adriano Celentano e Bobby Solo, i cantautori come Gino Paoli e Umberto Bindi e i gruppi beat (questi ultimi «sopportati più che supportati», anche per problemi di organizzazione). A vincere però fu perlopiù la musica melodica: la vittoria più rilevante del periodo fu quella di Gigliola Cinquetti al Festival del 1964 con Non ho l’età (per amarti), con la quale vinse anche l’Eurovision Song Contest dello stesso anno. Sempre nel 1964, venne estesa la partecipazione anche ai cantanti stranieri, che parteciparono in forze a quell’edizione (fra i tanti Paul Anka, Gene Pitney, Ben E. King e Antonio Prieto): la nuova regola fu «pensata come confronto tra interpreti italiani e stranieri», ma soprattutto «aspirava sia ad arricchire di nuova linfa la musica leggera sia a esportare oltre i pochi consueti mercati la nostra produzione». Questa innovazione fu tuttavia abbandonata già con l’edizione del 1966.
Nel frattempo, i temi sociali e la contestazione iniziarono ad apparire sul palco del Casinò: nel 1966, Adriano Celentano presentò Il ragazzo della via Gluck, subito eliminata dalla competizione; l’anno successivo, gli intenti “rivoluzionari” (sebbene estremamente edulcorati) dei giovani fecero capolino con La rivoluzione di Gianni Pettenati e Proposta de I Giganti. Ma il 1967 viene ricordato soprattutto per il suicidio del cantautore genovese Luigi Tenco, la cui canzone Ciao amore, ciao (cantata in coppia con Dalida e che raccontava il disagio di un Paese che, nonostante il miracolo economico, aveva «ancora sacche paurose di povertà e di indigenza») fu eliminata dalla finale. La morte di Tenco, semplicemente accennata, «tacendo persino il nome della vittima», durante il festival da Mike Bongiorno, «concluse la fase aurea del racconto di Sanremo», dando inizio ad «un convulso lungo periodo dopo il quale l’Italia non fu più la stessa e, conseguentemente, neppure la trama che il Festival ne forniva».
Nonostante questo, l’edizione del 1968 «costituì il maggiore sforzo dell’aspirazione del Festival a rappresentare sul piano della musica leggera tutto ciò che si muoveva nel paese»: presentata per la prima volta da Pippo Baudo, vide la vittoria di Sergio Endrigo (tanto a testimonianza dell’imporsi dei cantautori nel mercato musicale, quanto una sorta di “vittoria di compensazione” per quanto accaduto con Tenco). Sempre in quella edizione, esordirono anche Fausto Leali, Al Bano e Massimo Ranieri, «tutti e tre, in modi diversi, ben piantati nei caratteri eterogenei dei ragazzi di allora».
Le tre edizioni del 1969 (vinta da Iva Zanicchi e Bobby Solo con Zingara), del 1970 (vinta da Celentano e Claudia Mori con Chi non lavora non fa l’amore) e del 1971 (vinta da Nada e Nicola Di Bari con Il cuore è uno zingaro), ma soprattutto i grandi successi di Lucio Dalla (4/3/1943 nel 1971 e Piazza Grande nel 1972) e Roberto Vecchioni (L’uomo che si gioca il cielo a dadi nel 1973) «non evidenziarono pienamente la crisi della manifestazione», che ormai si avviava a un periodo di declino. A partire dal 1973, la Rai decise di trasmettere solo la serata finale del Festival e «anche la tanto sbandierata trasmissione in Eurovisione accomunava in realtà l’Italia alle aree arretrate (sic) dell’Est e dell’Ovest: nel 1973, infatti, si collegarono l’URSS e i paesi del socialismo reale» così come «Turchia, Cipro, Spagna e Portogallo, ove ancora per poco sopravvissero i fascismi», mentre dal punto di vista musicale, il Festival virò pesantemente sulla via «dell’erotismo in pillole e della pornografia casareccia», in «un trionfo di seni e cosce» e di canzoni che fanno riferimento agli stessi «irritanti stereotipi dell’erotismo da celluloide», al punto che l’edizione del 1975 «fu la più infelice e, se si vuole, la più insulsa nello scollamento tra realtà e rappresentazione».
Fu comunque in questo periodo che si sperimentarono varie formule per il Festival: Sanremo 1974 vide i 28 interpreti in gara divisi in due gruppi, ossia 14 “Big” (già qualificati alla serata finale) e 14 “aspiranti”, che si sarebbero sfidati per gli ultimi 4 posti disponibili. L’edizione del 1976 vide i partecipanti divisi in cinque gruppi, ciascuno con due interpreti “capigruppo” automaticamente qualificati alla finale, ma soprattutto per la prima volta scomparve l’orchestra (sostituita dalle basi musicali). Eliminazioni e gruppi furono aboliti l’anno successivo, anche perché le canzoni in gara quell’anno erano solo 12, ma già nell’edizione del 1978 venne ripristinata la divisione in categorie (“Solisti”, “Complessi” e “Cantautori”), i cui vincitori si sarebbero poi affrontati per il titolo. In ultimo, si assisté al “trasloco” del Festival dal Casinò di Sanremo (causa lavori di ristrutturazione) al Teatro Ariston.