Sanremo 2013: Aspettando Sanremo, ecco la recensione brano per brano di tutte le canzoni dei Campioni

Campioni

Iniziano le prime indiscrezioni su Sanremo 2013 a diciotto giorni dall’inizio del Festival. Dopo avervi riportato tutti i nomi dei cantanti Big e dei Giovani, ecco arrivare i primi giudizi sugli ascolti in anteprima da parte della carta stampata. 

Oggi la stampa è stata radunata nelle sede della RAI di corso Sempione a Milano, per un ascolto complessivo dei ventotto brani in gara dei  14 “Campioni”. Non che negli anni passati i giornalisti non le ascoltassero in anteprima, ma bisognava fare il giro delle sette chiese (le case discografiche) e poi mettere assieme le informazioni raccolte.

Ascoltarle tutte assieme è un’altra cosa: una scelta voluta, ha spiegato Fabio Fazio, presente in sala.  Un Festival con un’età media bassa  con autori però che non hanno bisogno di presentazioni come Gianna Nannini, Pacifico, Francesco Bianconi, Federico Zampaglione, Giuliano Sangiorgi, Peppe Servillo, Enzo Gragnaniello e Lelio Luttazzi. Mauro Pagani spiega. “Spero che i grandi ascoltando il festival quest’anno siano stimolati a partecipare, confortati dal fatto che autori importanti abbiano accettato di mandare i loro brani all’Ariston”. A proposito dei superospiti Fabio Fazio ha voluto precisare. “È un festival sulla canzone italiana, quindi, anche in considerazione dell’attenzione ai costi che la situazione del Paese impone, non siamo assillati dalla ricerca a ogni costo della super star”. E sui suoi “amici” più stretti dice. “Saviano e Gramellini al festival? Non si fa il già fatto”.

Quest’anno, come noto, le eliminazioni avverranno tra le canzoni e non tra gli artisti; la sala stampa dell’Ariston peserà per il 50% nella scelta tra le due canzoni di ogni artista, e ci si aspetta un voto “ragionato”, meno emotivo di quello del pubblico.

Il fatto che i pezzi siano 28 ha creato qualche ansia tra chi è in gara tra i Giovani, preoccupati di andare in onda molto tardi. Ma Fazio tranquillizza. “È una questione che ci sta a cuore, faremo in modo di distribuire i Giovani nel corso della serata, tenendo conto che le scalette sono scandite dai break pubblicitari. Dal canto suo Mauro Pagani, ex Pfm, nonchè compagno d’avventure musicali (e non) di Fabrizio De Andrè, spiega di aver avuto “un ruolo da consulente nella scelta dei brani in gara, perchè Fabio e il suo gruppo hanno idee precise. In certi casi ho contattato gli artisti per consigliarli soprattutto sul secondo brano, tenendo conto che era interesse delle case discografiche non presentare canzoni che non rappresentassero l’atmosfera degli album che usciranno dopo il Festival”.

Sull’assenza dell’hip hop, risponde Pagani: “La nostra sensazione è che gli artisti di questa area abbiano scelto di non venire. Probabilmente temevano di esporsi nei confronti del loro pubblico di riferimento, forse si sentono protetti se hanno la possibilità di fare gruppo”.

E sui talent show risponde sempre Pagani: “I talent sono una realtà della musica italiana e Sanremo non è il concerto del Primo Maggio. Poi va anche detto che i giovani artisti oggi in Italia hanno poche possibilità di farsi ascoltare. Certo, i talent sono gare tra interpreti e i ragazzi vengono indirizzati soltanto verso un determinato modo di interpretare le canzoni, ma quest’anno questi ragazzi da talent vengono con brani di Zampaglione, Bianconi, Nannini e Pacifico”.

La curiosità e le aspettative sono alte, non possiamo negarlo. Del resto Fabio Fazio ha cercato di portare sul palco nomi convincenti, sia da talent show che dal panorama musicale dei nomi già noti, senza dimenticare quei cantanti non così famosi e conosciuti dal grande pubblico. Anche il regolamento è cambiato, le canzoni da quest’anno sono due, non si elimina più l’artista ma il brano. Insomma, le modifiche non mancano e c’è interesse a salvaguardare e avere cura dell’artista che decide di mettersi in gioco (e, soprattutto, in gara).

Siamo convinti che le canzoni andrebbero ascoltate direttamente sul palco dell’Ariston. Lì hanno tutta un’altra dimensione e un altro effetto rispetto alle versioni di studio – peraltro, quelle che oggi la stampa ha ascoltato in alcuni casi erano versioni neanche definitive, perché molti artisti stanno ancora ultimando mixaggi e masterizzazioni se non addirittura le registrazioni stesse.

Ma l’iniziativa della RAI è assolutamente meritoria, perché permette di farsi un’idea ragionata di quello che musicalmente succederà al Festival.

Un taglio “alto”, dicevamo – ammesso che abbia ancora senso parlare di “alto” e “basso”: canzoni che spesso sono ballatone molto classiche, ma con poche, pochissime concessioni al nazionalpopolare e diverse scelte coraggiose.

La tendenza “conservatrice” è semmai evidente nel meccanismo innescato dal dover portare due brani: la maggior parte degli artisti ha scelto l’ecumenismo, con un brano lento e un pezzo ritmato. In alcuni casi è evidente fin da subito la vittima designata, in altri i giochi sono più aperti. Ma andranno ri-sentite sul palco, lo ripetiamo. Sia quel che sia, ecco i primi giudizi da parte della stampa. A dare le prime impressioni canzone per canzone è il settimanale “TVSorrisi e Canzoni“. 

Una vera ondata di musica: quest’anno partecipano 28 canzoni (due per ogni Campione in gara) e dopo un primo ascolto è difficile capire fino in fondo il valore dei singoli brani. Ma è abbastanza per farsi un’idea di quali siano le tendenze, i temi ricorrenti, le sonorità, e i più validi concorrenti di questa edizione.

Almamegretta: Dopo vent’anni di carriera, la band di Raiz porta all’Ariston in entrambi i brani un sound complesso e variegato che mescola il ritmo del reggae, la sperimentazione della musica elettronica e il blues della calda voce del suo leader. Tutti e due i loro brani sono suggestivi e molto figurativi: «Mamma non lo sa» (Della Volpe/Polcare/Tesone) é una nostalgica storia di urbanizzazione («Mangio scatolette, non cucino più» che si conclude con un invito a «riprenderci l’umanità») Dub, ritmi in levare, elettronica, la voce sporca di Raiz: c’è tutto ciò che ha fatto amare questa band. Completamente fuori luogo per il Festival, e per questo perfetta mentre «Onda che vai» (Federico e Domenico Zampaglione) racconta un intenso viaggio verso un sogno di libertà: dopo tutto, il nome gruppo si traduce «Anima Migrante». Sempre ritmata, con ritmiche trip-hop su una melodia molto aperta e mediterranea. Stupisce di meno, rispetto allo spettacolo di “Mamma non lo sa”. Impressioni: Un giusto riconoscimento all’importanza di questa band. Una canzone bellissima e coraggiosa, una un pò meno rischiosa.

Annalisa Scarrone: L’unica ex concorrente di «Amici» in gara quest’anno porta due canzoni spiccatamente sentimentali, nella tradizione del Festival. La sua «Scintille» (Dario Galbiati/ Antonio Faini) è quella più veloce, con un piglio decisamente «jazzato» in cui a un certo punto fa la sua comparsa anche una fisarmonica, apparentemente più “vintage”, ma anche questa molto tradizionale nella linea melodica. Sarà una delle costanti del festival. «Non so ballare» è invece una ballata più tradizionale e romantica (l’autore è Ermal Meta, leader della band La Fame Di Camilla) in cui la Scarrone racconta un travolgente amore a prima vista.  Canzone che parte con una coloritura elettronica per poi diventare una ballata molto classica (anche nel testo: “Io non so ballare/ma riesco a sentire/farfalle danzare in me”), costruita per mettere in luce la bella voce e l’ottima interpretazione. Impressioni: Due brani molto diversi, per esaltare le diverse sfumature della voce. Meglio la seconda, più “diversa”.

Malika Ayane: Il suo ritorno a Sanremo è guidato dalla mano esperta di Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, autore di entrambi i brani. Che sono due variazioni sul tema della perdita e dell’assenza: «E se poi» è un pezzo più ritmato, anche qua con una presenza riconoscibile della scrittura di Sangiorgi e una presenza più importante degli archi e dell’orchestra mentre «Niente» parte con dolcezza, canzone classica, ballata d’amore basata su rime, con un semplice arpeggio di chitarra e la voce di Malika, a cui si aggiunge il pianoforte, per raggiungere gradualmente un emozionante crescendo finale mentre Malika canta a gran voce «non resta più niente» .Impressioni: Due facce della stessa medaglia, molto segnate dalla forte personalità autoriale di Sangiorgi.

Chiara: La vincitrice di «X Factor» sarà anche «l’ultima arrivata» ma si fa accompagnare da due autori d’eccezione. «L’esperienza dell’amore» (scritta da  Federico e Domenico Zampaglione dei Tiromancino) è un brano che esplora l’effetto sconvolgente e formativo del sentimento amoroso, paragonato a un treno in corsa, a un’onda, al rapimento totale dell’estasi. Ballata classica, con qualche coloritura elettronica nella ritmica. Come per la prima di Annalisa, anche questa è fatta per permettere alla cantante di “X Factor” di aprire la voce. E che voce… Qua la scrittura è notevole, come l’arrangiamento: bravo Zampaglione a trovare la quadratura tra canzone italiana e le sfumature “anglosassoni” dell’interpretazione di Chiara. È una sorta di  tango sporcato dall’elettronica, invece, il suo secondo pezzo, «Il futuro che sarà», scritto da Francesco Bianconi dei Baustelle/Luca Chiaravalli/Lisette Gonzalez-Alea, che ricorda un pò i Gotan Project, fino all’apertura, che trasforma la canzone in una melodia più classica, che permette alla voce di aprirsi di nuovo. Una canzone più coraggiosa. Un invito a sognare, in faccia a una vita che spesso è «una comoda anestesia». Impressioni: Chiara può cantare l’elenco del telefono. Quando poi viene dotata di ottime canzoni…

Simone Cristicchi: Davvero curiosi i testi del cantautore di «Ti regalerò una rosa», giunto al quarto festival. «Mi manchi»  (Cristicchi)/Di Salvo/Pacco) è una canzone d’amore, costruita su un lungo, poetico e buffo elenco di similitudini della mancanza (“Come una penna ad un notaio”, “A una suora il suo rosario”); nel suono e nell’arrangiamento, si rifà alla musica popolare, con violini e fisarmoniche. Una melodia molto semplice e diretta, fatta per esaltare le parole più che la voce. «La prima volta (che sono morto)» (Simone Cristicchi) è un brano originale che esorcizza la perdita con spirito laico e ironico, più ritamata: è raccontato dal punto di vista di un defunto, che nell’aldilà incontra Chaplin, Pertini e il nonno partigiano che gli chiede: «Avete cambiato il mondo?». Niente paradiso, ma una «scuola serale» dove si insegna ad apprezzare meglio la vita. Come si dice alla fine: «Sarà per la prossima volta».Un bel testo narrativo, da seguire con attenzione per apprezzare appieno la canzone. Impressioni: Coraggiosa importanza alla parola, più che alla voce o alla melodia.

Elio e le Storie Tese: L’auditorium accoglie con un piccolo applauso i due brani della band, di nuovo a Sanremo dopo 17 anni. Sono ovviamente le canzoni più folli e divertenti del Festival. «Dannati forever» (Elio e le Storie Tese) gioca con il concetto religioso di peccato, elencando i predestinati a un’eternità tra le fiamme (tra cui gli esodati, onanisti, comunisti, sodomiti, e… i giornalisti) in cui l’Inferno è paragonato, in rima, a una giornata d’agosto «sulla Reggio Calabria – Salerno». Una canzone “mid tempo”, costruita magistralmente, ma tutto sommato molto classica. Puro virtuosismo il secondo brano, «La canzone mononota» (Elio e le Storie Tese): Elio canta (quasi) tutto il pezzo usando una sola nota, e diventa un viaggio negli stili della canzone sanremese. Alla fine, Mauro Pagani ci fa sapere che la nota è un Do. La canzone è “Mononota” (non “monotona”): tutta basata sulla stessa nota cantata: un do ripetuto all’infinito, con continui cambi di accordi, voci, argomenti. Pirotecnica. Impressioni: gli Elii che stupiscono si vedono soprattutto nella seconda. Virtuosismo puro, pure troppo…

Max Gazzé: Se molti cantautori propongono un pezzo lento e uno veloce, l’autore di «Il solito sesso» tiene il ritmo piuttosto serrato e l’asticella dell’ironia molto alta, in entrambe le canzoni. «Sotto casa» (F. Gazzé/M. Gazzé/De Beniddittis) è un brano costruito su una metrica ardita ma impeccabile, raccontato dal punto di vista di un «messaggero» che bussa a una porta per proporre la salvezza, e si conclude con un vero coro «da stadio». Le acrobazie verbali e melodiche di Gazzé si ritrovano in questa canzone riconoscibilissima eppure non scontata. Una conferma della bravura di Gazzé, con un testo che inneggia al dialogo (con riferimenti religiosi che potrebbero far discutere). Il tema di «I tuoi maledettissimi impegni»  (F. Gazzé/M. Gazzé/Buzzanca) è chiaro fin dal titolo: l’amata ha sempre da fare e quindi lui, cantante sfaccendato, si immagina di diventare il suo fermaglio, o di rimpicciolire per entrare nella borsetta e passare più tempo con lei. Anche questa riconoscibilissima, eppure diversa, più alla Battiato (da sempre uno dei punti di riferimento di Gazzé). Più semplice nella costruzione diretta, e anche questa molto ritmata. Impressioni: uno dei pochi a presentarsi con due canzoni veloci; anche solo per questo merita tutto il rispetto che già gli si deve.

Raphael Gualazzi: Due anni dopo aver vinto tra i giovani, l’urbinate torna a Sanremo da vero Campione con due brani accomunati da uno spirito liberatorio, che sottolineano il suo talento come pianista oltre che come compositore e interprete. Il testo di «Sai (ci basta un sogno)»  (Gualazzi) è poetico e complesso, l’inizio pianoforte e voce (inevitabilmente) lascia spazio a un ritornello energico in cui Raphael tira fuori la voce, cantando «per sopravvivere ci basta un sogno»; c’è tempo anche per un virtuosistico assolo di piano. Una ballatona ad effetto, con venature da soul d’annata e un testo che indugia in un linguaggio forbito (“Volute velleità”, “Accidia immemore”). «Senza ritegno» (Gualazzi) è un brano più veloce dal ritmo jazz quasi latino con un uso distintivo della tromba nel finale: decisamente più sperimentale ma irresistibile. Il brano, a differenza dell’altro, mette più in luce il piano che la voce. Divertente, ma meno d’effetto di “Sai” – passerà quella, c’è da scommetterci. Impressioni: Gualazzi, da questi brani, continua a giocare tra tradizione vintage anglosassone e canzone italiana.

Marta sui tubi: Come previsto, i due brani della band nata a Bologna sono tra i più originali della rassegna. In particolare «Dispari» (Marta sui tubi), che parte e si conclude con un coro quasi gregoriano e dove domina la voce aggressiva e inconfondibile di Giovanni Gulino: il testo è altrettanto sorprendente, con ardite citazioni nel ritornello (Oscar Wilde e i Sonic Youth, i Motorpsycho e Mallarmé) e una frase come «non soffro se mi sento solo, soffro se mi fai sentire dispari». Rock acustico nella struttura e nell’aggressività del cantato e della ritmica. La seconda canzone, «Vorrei» (Marta sui tubi), è la richiesta di perdono di fronte a un amore compreso troppo tardi in cui Gulino chiede «perdono alla pastorizia per aver rovinato l’immagine di una pecora nera». Altra canzone originale per l’uso degli archi e della ritmica, almeno rispetto agli standard del Festival. Impressioni: Outsider con (belle) canzoni da outsider, sono i candidati numero uno al Premio della Critica.

Marco Mengoni: Anche il secondo ex concorrente di «X Factor», già sul podio di Sanremo tre anni fa, viene accompagnato da autori con la A maiuscola. «Bellissimo», il brano scritto da Gianna Nannini e Pacifico, è quello più veloce, quello dove Marco può sfruttare al meglio le sue doti vocali e, in alcuni passaggi, sembra quasi il brano di un musical per Broadway. Canzone ritmata, musicalmente e vocalmente; pop di alta qualità. Che sia la canzone che è finora mancata a Mengoni? Più tradizionale la ballata «L’essenziale», scritta tra gli altri da Roberto Casalino: una canzone d’amore da manuale. Un’altra ballata molto, molto classica. Piano, chitarra e archi che entrano in ordine, per sostenere la voce di Mengoni. Al primo ascolto non impressiona. Impressioni: la voce è sempre bellissima, meglio quando è meno “tradizionale” e più personale (deve ringraziare, e tanto, la Nannini per il pezzo).

Modà: Dopo aver vinto per mano di Emma come autore di «Non è l’inferno», Kekko Silvestre riprova a portare a casa il titolo con la sua band. Entrambi i brani sono propositivi e pieni di energia: «Come l’acqua dentro il mare» (Francesco Silvestre) accontenterà i fan del gruppo con un invito a «far tesoro di ogni respiro» e a «difendere la bellezza del perdono». Una ballata basata su un arpeggio di chitarra acustica a 12 corde, con improvvise aperture e vocalizzi “alla Modà”. Canzone dedicata al figlio, neoromanticismo allo stato puro (“Ricorda che l’amore a volte può far male/ma del mio non ti devi preoccupare”). L’altra canzone, intitolata «Se si potesse non morire» (di Modà), è invece un inno alla bellezza e alla semplicità delle cose, in cui Silvestre immagina di poter vivere in un mondo in cui l’amore e i sogni sono capaci di annullare la morte. Canzone speculare alla prima, ma basata su un arpeggio di piano. Ne è la logica prosecuzione, in termini di pathos e temi (“E poi ti immagini se invece si potesse non morire e se le stelle si vedessero col sole”). Impressioni: Giocano per vincere: è la versione odierna del rock nazionalpopolare (ed è tutt’altro che una cosa negativa, se piace il genere).

Simona Molinari e Peter Cincotti: Grazie alla cantante lanciata dal Festival nel 2009 torna sul palco un grande del passato come Lelio Luttazzi. È suo infatti il brano «Dr. Jekyll and Mr. Hide» (Lelio Luttazzi), uno spiritoso pezzo, suoni retrò (tromba con la sordina e piano) ritmi swingati vecchi stile sull’adorabile schizofrenia delle nostre personalità: «Siamo tutti mezzi matti» canta la Molinari. Cincotti canta bene in italiano, ma quanto canta in inglese mette una marcia in più al brano. Più veloce, quasi ballabile, è invece «La felicità» (Molinari/Vultaggio/Cincotti/Avarello), canzone apparentemente allegra che in verità parla di una storia d’amore finita e di una felicità perduta; il sound avvicina il folk alla dance. È lecito immaginare una versione remixata. Altro brano ritmato, contemporaneamente retrò nei riferimenti e contemporaneo nei suoni. Un pò meno divertente, un pò più malinconico, con la voce di Cincotti meno presente. Impressioni: tra i pochi a presentare due brani ritmati, entrambi divertenti e originali. Una bella sorpresa (ma solo per chi non la conosceva già): altra seria candidata al Premio della Critica.

Maria Nazionale: Tocca alla cantante di Torre Annunziata, in un’edizione segnata indubbiamente dalla componente folk, il compito di portare il calore della musica partenopea sul palco dell’Ariston. Non se lo fa dire due volte: se «Quando non parlo» (Enzo Gragnaniello) è una canzone d’amore in cui la Nazionale invoca un «bisogno infinito di poesia» mentre «il mondo galleggia nella bugia». Canzone “meditteranea” nella ritmica, nella melodia e nella strumentazione (si sente un bouzouki), con una voce che rimanda immediatamente a Napoli, l’obiettivo è perfettamente raggiunto nel secondo pezzo, «È colpa mia»  (di Fausto Mesolella e Beppe Servillo), brano più lento e malinconico in cui la cantante ammette le proprie responsabilità di fronte a un sentimento spezzato. È infatti cantato interamente in dialetto. Voce, piano, napoletanità allo stato puro, nelle parole e nell’uso della voce, molto più che nell’altra canzone. Scritta dagli Avion Travel ma non si direbbe. Impressioni: La versione “alta” della canzone neomelodica. Sembrava sulla carta il nome più debole dei campioni, e lo è. 

Daniele Silvestri: Le due anime del cantautore romano si incontrano nei due brani proposti per il Festival. Da un lato c’è «A bocca chiusa» (di Daniele Silvestri): parte da una citazione di «La società dei magnaccioni» («Fatece largo») e da un riferimento a un classico di Gaber («Partecipazione è libertà, ma è pure resistenza») ed è il racconto appassionato di una manifestazione politica per le strade di Roma, che si conclude con una melodia mormorata dal cantante. Ascoltata in una versione piano e voce, una canzone delicata nella musica e ma forte nelle parole, che parla di scioperi e del manifestare. Ci si augura che rimanga così essenziale anche sul palco dell’Ariston. Dall’altro c’è «Il bisogno di te» (di Daniele Silvestri), una canzone sulla dipendenza amorosa, decisamente più vicina allo stile ironico e danzante di uno dei suoi più grandi successi, che presentò proprio a Sanremo, ovvero «Salirò». Ritmata e divertente nella musica e nel testo (ma solo apparentemente: racconta un amore ossessivo). Ricorda un pò “Salirò” nella costruzione metrica. Sarà interessante da sentire nella versione con orchestra. Impressioni: le due anime di Silvestri, quella politica/riflessiva e quella più scanzonata, con la classe di sempre.

In complesso le canzoni sembrano avere una media migliore rispetto a quella dell’anno scorso. Sarà un Festival di Sanremo “alto”, non solo nei nomi, ma anche nelle canzoni.

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