Per gentile concessione di Vololibero pubblichiamo una parte del prologo del libro “Capire l’Eurovision – Tra musica e geopolitica” di Giacomo Natali, da oggi acquistabile qui e prossimamente in tutte le librerie.
“Capire l’Eurovision – Tra musica e geopolitica” (FORMATO: 140x 210. PAGINE: 352. PREZZO: € 22,00. ISBN 978-88-32085-32-7) è il volume diCapire l’Eurovision – Tra musica e geopolitica. Una guida attenta e approfondita per meglio comprendere, anche oltre la musica, la più grande manifestazione musicale al mondo.
Con oltre duecento milioni di appassionati che lo seguono ogni anno, l’Eurovision Song Contest è la più grande manifestazione musicale al mondo. Ma la manifestazione va anche oltre la musica. Una grande kermesse che rappresenta anche un’occasione unica per comprendere l’Europa, le sue radici e le sue tensioni. Qui tutto ciò è raccontate fino al folgorante successo dei Måneskin.
Ecco allora artisti che raggiungono il palco schivando i colpi dei cecchini che assediano Sarajevo, grandi cantautori sostituiti perché volevano usare lingue proibite, famose band costrette a ritirarsi per dichiarazioni politiche, gli Abba e Serge Gainsbourg, Céline Dion e Conchita Wurst, canzoni censurate, sfide musicali tra paesi in guerra tra loro e le influenze delle reciproche alleanze.
Se siete pronti a questo viaggio nell’Eurovision, sappiate però che non se ne torna più indietro: condannati per sempre, una sera all’anno, a mettere da parte i vostri preconcetti per godervi i collegamenti in diretta e le interminabili sessioni di voto di una cinquantina di Paesi, come fossero una cosa importante. Perché, per allora, sarete convinti che lo siano davvero.
Qualcuno mi chiede cosa ci sia mai di tanto interessante nell’Eurovision. Oppure, facendo un passo ancora più indietro: cosa caspita sia l’Eurovision. Domande legittime e comprensibili, per chi giunga ora sulla soglia di questo mondo di palcoscenici pirotecnici e dive di plastica dal valore artistico discutibile e si senta dire, da insospettabili appassionati, che la manifestazione rappresenta, in realtà, una cartina di tornasole unica per comprendere l’Europa di oggi e i suoi equilibri culturali e geopolitici.
Se volete risposte, preparatevi però a un viaggio dal quale non si torna più indietro: condannati per una sera ogni anno a mettere da parte i propri gusti musicali ricercati e in generale il proprio buongusto, per godersi i collegamenti in diretta con una cinquantina di paesi impegnati in interminabili sessioni di voto, come fossero una cosa importante. Perché per allora sarete convinti che lo siano davvero.
Gli eventuali dubbi in merito, in realtà, sono una caratteristica quasi esclusiva dell’Italia. In nessun altro paese d’Europa, infatti, sarebbe necessario spiegare che l’Eurovision Song Contest sia la più grande manifestazione musicale al mondo, senza rischiare di apparire didascalici come chi volesse illustrare cosa siano le Olimpiadi.
Non è una nostra manchevolezza.
C’è una ragione per cui l’Italia fa eccezione nell’entusiasmo generale che gli altri paesi riservano per l’Eurovision: pur essendo tra le nazioni fondatrici della competizione, se ne ritirò nel 1997, per poi ritornare a partecipare soltanto a partire dal 2011.
Proprio durante quell’intermezzo, però, avvenne una mutazione radicale dell’evento, sia per motivi interni (il meccanismo
di voto si aprì al pubblico), che esterni (la fine della guerra fredda e il conseguente allargamento della platea di partecipanti).
Nel quarto di secolo che separa l’addio italiano dal ritorno alla vittoria con i Måneskin, il modesto programma europeo che pochi connazionali avevano fino ad allora seguito, essendo le esigenze dei più (e dei dirigenti Rai) già soddisfatte dal Festival di Sanremo, si è trasformato in un gigante pop e mediatico capace di attrarre ogni anno oltre 200 milioni di spettatori e scaldare animi e ambizioni attraverso il continente.
Mentre nella Penisola eravamo distratti, qualcos’altro era cambiato. Ed è proprio ciò che oggi rende questa manifestazione imprescindibile, al di là dei suoi aspetti musicali e spettacolari: l’esplosione e l’invasione della politica che vi ruota attorno e vi cova sotto. Politica in ogni suo aspetto: di relazioni internazionali, alleanze e conflitti geopolitici, così come di identità nazionale, sociale, personale, di genere.
Anche se la competizione musicale dovrebbe, infatti, essere ufficialmente priva di connotazioni politiche (vietate nei testi, nei gesti, nei simboli e nei discorsi), l’immensa platea di spettatori, che la seguono ogni anno, sono un pubblico troppo ghiotto per chiunque voglia portare avanti una propria agenda politica e sociale, su un palcoscenico internazionale. O per i governi nazionali che vogliano mostrare il proprio volto più accattivante e pesare il proprio soft power: cioè il potere e l’influenza che derivano non dalla forza militare, ma dalla capacità di attrarre con i propri ideali e la propria cultura.
Ciò è dovuto in larga parte all’invenzione più geniale dei burocrati europei che ne hanno stabilito il format: ovvero il divieto di poter votare per il proprio paese.
Il fatto di essere costretti a sostenere qualcun altro e dunque a farsi votare da altri popoli e non dai propri cittadini, infatti, cambia completamente il significato di una vittoria, per esempio, rispetto a quella che si può conseguire in un Campionato Europeo di calcio.
Così che se, nello sport, l’orgoglio di essersi imposti sugli altri rischia di far emergere il lato sciovinista di un paese, l’Eurovision esalta l’amicizia, la vicinanza culturale e la capacità di farsi apprezzare e amare dagli altri. Almeno in teoria.
Preparatevi, dunque, a decine di storie che proiettano una luce completamente diversa su un evento che sempre più spesso finisce per diventare una “continuazione della guerra con altri mezzi”. In questo caso balletti trash e canzoni: il più delle volte brutte, a volte meno brutte, qualche volta che fanno la Storia.
Nel febbraio del 2022, quando il libro era già terminato e impaginato, le tensioni e i conflitti qui citati sono stati improvvisamente resi più concreti e drammatici dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Ho cercato di riportare nel testo le conseguenze immediate della prima fase del conflitto, così come alcune considerazioni sulle sue potenziali ricadute. Tuttavia, nel momento in cui andiamo in stampa, non possiamo purtroppo sapere quali ne saranno gli sviluppi futuri…
Giacomo Natali è autore e analista di comunicazione e geopolitica. Si occupa in particolare degli aspetti culturali e simbolici dei conflitti internazionali. Collabora, tra gli altri, con l’Istituto Treccani e l’Università degli Studi di Ferrara. Avendo anche una seria preparazione musicale, ogni anno mette alla prova questa duplice competenza, cercando di prevedere i risultati dell’Eurovision. Con risultati alterni.
Devi accedere per postare un commento.