A Baku, capitale dell’Azerbaigian, la serata finale dell’Eurovision Song Contest. Vince la Svezia con Loreen. L’Italia ha portato sul palco la cantante con il brano “L’amore è femmina (Out of love)”. Storie, canzoni, nomi e trame di un evento spesso discusso.
Alla fine delle lunghissime votazioni Paese per Paese l’ha spuntata la Svezia con Loreen e la sua “Euphoria”. Una vittoria schiacciante nel punteggio a conclusione dell’Eurovision Song Contest, in Italia meglio noto come Eurofestival, che ha vissuto la serata finale dell’edizione 2012 a Baku, capitale dell’Azerbaigian. Nina Zilli rappresentava la canzone italiana con “L’amore è femmina (Out of love)” e su twitter aveva condiviso così la trepidazione dell’attesa: “Me sò fatta dù fette de prosciutto fine fine e ‘na capresina. Cena tricolore, la serata la obbliga!”. Ha incantato, ma è rimasta indietro: solo nona.
Un pò di storia…: E alla mente è tornato monsieur Andrè Claveau. Una vecchia gloria della canzone francese, morto nel 2003, nella storia dell’ESC per un’autentica impresa: nel 1958 riuscì a battere Domenico Modugno e “Nel blu dipinto di blu”. “Dors, mon amour”, il titolo del brano che sconfisse la canzone italiana più conosciuta e con più cover nel mondo, che a Modugno valse il Grammy (quello vero, non la versione dedicata ai “latini”). E che, a posteriori, risulta anche la più venduta tra quante passate per l’ESC.
L’esempio di “Volare” è il più eclatante, non il solo, utile alla premessa. Nato nel 1956 ispirandosi al Festival di Sanremo, l’Eurovision Song Contest, sotto l’egida dell’Unione Europea di Radiodiffusione, con il preponderante contributo finanziario delle reti nazionali di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania e – dopo il ritorno dello scorso anno dopo 14 anni di esilio volontario – dell’Italia, è innanzitutto un evento televisivo. Muove tanti interessi, diritti tv, pubblicità, persino la politica, ma la storia insegna che la sua priorità non è premiare la canzone migliore.
Ne sanno qualcosa soprattutto i grandi esponenti della nostra musica degli anni Cinquanta e Sessanta, fino ai primi Settanta. I Modugno, Villa, Morandi, Ranieri, Di Bari, Endrigo, Zanicchi, Al Bano e Romina, Ricchi e Poveri. Divinizzati in Italia, il Paese delle grandi melodie, qualificati dopo aver vinto “Sanremo” o “Canzonissima” e regolarmente superati all’Eurovision SOng Contest da lussemburghesi, olandesi, irlandesi, francesi, danesi, israeliani, turchi. Unica eccezione dell’epoca, Gigliola Cinquetti, vincitrice nel 1964 con “Non ho l’età”.
Una bella lezione, si dirà, per quanti all’epoca vedevano in Roma ancora l’ombelico del mondo. Bisogna imparare ad ascoltare gli altri, che non sono necessariamente brutti, sporchi e cattivi. Buona filosofia, ma poco applicabile all’ESC. Dove di musica buona ne è passata davvero poca, mentre di cattivo gusto ne è sempre corso a fiumi. Limitandosi a quanto ascoltato e lasciando da parte quanto visto in termini di eleganza, coreografie, acconciature: sciatte melodie ultrapopolari, marcette da festa paesana, ritornelli facili facili, pretenziosi melodrammoni, insopportabili nenie di estrazione folk. Questo, almeno, fino all’avvento di internet e delle comunicazioni satellitari, che all’ESC hanno limato le differenze culturali e prodotto una graduale e inevitabile omologazione.
Il dominio della mediocrità, con pochissime eccezioni. Scrutando l’albo d’oro della manifestazione, i nomi che hanno travalicato la gloria di una serata in eurovisione si contano letteralmente sulle dita di una mano: l’inglese Sandie Shaw (1967), la canadese Céline Dion (cooptata dalla Svizzera nel 1988, il regolamento lo consente), Katrina and the Waves (Irlanda, 1997), il gruppo metal finlandese dei Lordi (2006), la tedesca Lena (2010).
L’edizione monstre, indubbiamente, quella che nel 1974 vede trionfare gli immancabili Abba con “Waterloo”. Negli anni successivi, i replicanti del quartetto svedese saranno una triste costante. Nel 1974, al secondo posto si classifica, dieci anni dopo il suo successo all’ESC, la nostra Gigliola Cinquetti. Al suo brano, “Sì”, è legato un gustoso aneddoto. Quell’anno la Rai trasmette la finale dell’ESC in differita di un mese perché in Italia si vota il referendum per il divorzio e si teme l’occulta persuasione di Gigliola.
La povertà del panorama artistico dell’ESC si prolunga negli anni Ottanta, quando l’Italia porta, tra gli altri, Alan Sorrenti (1980, “Non so che darei”) Luca Barbarossa (1988, “Ti scrivo (vivo)”), Tozzi e Raf(1987, terzi con “Gente di mare”) e la coppia Battiato-Alice (1984, “I treni di Tozeur”, appena quinti). Anche Mia Martini partecipa due volte, 1977 e 1992 (con “Libera” e “Rapsodia”). Salvo qualche buon piazzamento, l’Italia sprofonda in classifica.
Ecco, le classifiche. Come si sceglie il vincitore dell’ESC? Fino al 1997 ogni paese disponeva di una giuria, dal 1997 è stato introdotto il televoto. Dopo una serie di verdetti contestati, oggi il televoto conta per il 50%, mitigato dalle restaurate giurie nazionali per il restante 50%. Se a Sanremo Morandi è costretto a ricordare “che non esistono attualmente sistemi per arginare” l’imbroglio del televoto automatico e se in gara all’ESC vi sono paesi dove le giurie, forse, non sono libere di esprimersi liberamente perché corrotte o asservite ad altri interessi, è difficile allontanare il sospetto che la gara non sia ad armi pari.
L’esempio viene proprio dall’Azerbaigian, ex repubblica sovietica dove oggi vige un regime autoritario mascherato da democrazia, fondato su petrolio e corruzione, che ha guadagnato il diritto a ospitare la manifestazione per aver vinto nel 2011 con il duo Ell & Nikki. Mostrare al mondo la cartolina festosa di un paese dove i ragazzini usano pro-tool (un software per la produzione musicale), ballano, cantano e sorridono, è una gran propaganda per il potere azero. Che nell’ESC ha investito 48 milioni dollari. Il minimo che ci si potesse aspettare era che si esibisse anche il genero del presidente. Come è effettivamente accaduto, nell’intervallo dello show. Un’occasione colta seguendo una prassi consolidata, se si dà credito a quanto “spira” nei corridoi dell’Eurovision Song Contest: lo scambio di voti con nazioni geopoliticamente vicine, amiche, pronte a farsi favori.
Ma ci sarebbe anche chi considera un fastidio dover mettere in piedi una produzione troppo imponente per l’audience televisiva che la ripaga nel suo Paese. Di conseguenza, farebbe di tutto per perdere. Secondo i soliti “corridoi”, le tante sconfitte degli artisti italiani sarebbero dovute proprio al “disimpegno” della Rai. Sospetto rinfocolato persino a Baku da un tweet di Giancarlo Leone, in cui il capo dell’intrattenimento Rai ha ironizzato sul fatto che bisogna tifare per Nina Zilli, ma siccome la nazione che vince deve organizzare l’edizione dell’anno successivo forse non tutti in Rai stanno davvero tifando fino in fondo. In un tweet successivo Leone ha precisato che si trattava di una battuta.
Di fronte a simili trame, vere o presunte, a posteriori risalta come un capolavoro di diplomazia la vittoria di Toto Cutugno, l’unico a bissare il successo tricolore della Cinquetti, nel 1990. Quando a Zagabria, da non favorito, convinse tutti con Insieme: 1992, canzone di fratellanza rivolta al futuro prossimo, a quell’Unione Europea della libera circolazione delle persone e delle merci che sarebbe scattata, appunto, due anni dopo. Il successo di Cutugno porta a due anche le volte in cui l’Italia ospita l’ESC: dopo Napoli, nel 1965, a Roma nel 1991.
Sarebbero seguite solo delusioni, da Peppino di Capri (che nel 1991 canta in napoletano “Comme è doce o’ mare”), Mia Martini, Enrico Ruggeri (“Sole d’Europa”). Finché, nel 1997, i Jalisse perdono da favoriti a Dublino. Al ritorno in Italia, il duo dichiara: “Silurati perché la Rai non ne voleva sapere di organizzare la manifestazione, come sarebbe toccato se avessimo vinto”. E da lì inizia anche l’oblìo dei Jalisse. “Tornati dall’ESC fummo ‘cancellati’…”.
In quel polverone l’Italia si dà alla fuga dall’Eurovision Song Contest fino al 2011, quando la Rai decide di scaraventare a Düsseldorf il jazz di Raphael Gualazzi (“Follia d’amore”), vincitore tra i giovani a Sanremo ma battuto da Ell & Nikki. Quest’anno non è andata meglio. E Nina Zilli si consola su twitter: “Come sempre non vinco mai, sono troppo r’n’r. Grazie a tutti”.
(Tratto da: la repubblica)
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